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Il consorte quale persona passiva del reato di violenza sessuale. Sembra chiaro che la legge, non evidenziando in alcuna maniera le qualità delle persone passive, ha voluto inserire nella tipologia pure quelle circostanze di violenza sessuale che, manifestandosi nella sfera familiare, hanno per persona passiva il consorte.
Questa considerazione è di grande rilievo, in quanto non è sempre stata cosa tranquilla per la moglie denunciare il coniuge per violenza sessuale.
Dai primi anni trenta agli primi anni settanta, vi è stato una posizione giurisprudenziale che evidenziava nel matrimonio il centro dei doveri di mutuo sostegno fisico e morale, fra questi inserendovi quelli connessi alla sfera sessuale.
Altresì, il legame carnale in siffatta circostanza era ritenuto come un diritto, invece il reato di violenza carnale veniva annesso soltanto alle ipotesi di costrizione del consorte ad azioni sessuali estranee dagli scopi procreativi del matrimonio, come quelli contro natura. (123)
Evidente posizione dottrinaria riteneva che, tra persone unite da vincolo matrimoniale, per quanto concerne le relazioni normali , non vi poteva mai essere un reato contro la libertà sessuale, poiché la difesa di quest ultima non trova motivazione in una circostanza in cui l unione carnale rappresenta il sostrato del rapporto matrimoniale. (124)
Altra dottrina riteneva che, ad escludere il reato di cui all art. 519 c.p., valeva il diritto alla prestazione sessuale. Difatti, considerato che la costrizione, per rappresentare reato, deve essere illecita, l esercizio del diritto all unione carnale col consorte esclude l illegalità penale. (125)
Per tale dottrina, quindi, la condotta sessuale violenta del consorte poteva al più inserire gli estremi della violenza privata o delle ferite, ma non quello di violenza carnale.
Comunque la dottrina giuridica, e principalmente la Cassazione, hanno riconosciuto sempre più espressamente la perseguibilità della violenza carnale tra consorti, pur delimitandone la perseguibilità alle uniche ipotesi in cui si manifesti in maniera violenta.
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Con pronuncia del 16 febbraio 1976, la Cassazione spiega così il criterio secondo cui compie il reato di violenza carnale il consorte che obbliga con violenza o minaccia l altro consorte, pure non separato, ad unione carnale: ... (omissis) orbene la liceità nel possedere il corpo dell altro consorte per soddisfare il desiderio sessuale, la sfera del connesso diritto e quello del contrapposto obbligo, l ambito del consenso alla deditio corporis prestato con il matrimonio, il rilievo del bene dell inviolabilità sessuale, non vanno relazionati all esito del comportamento, ma alla coazione spiegata per conseguirlo.
Ciò va spiegato nelle considerazioni che seguono, tra loro coincidenti: L illegalità dello strumento utilizzato per permettere l esito rende questo illegale, dato il criterio dell unitarietà della tipologia criminosa, che non consente la divisione dell antigiuridicità, cosicché non si può sostenere che l unione imposta in maniera violenta e minacciosa da un consorte all altro sia illegale nella causa (rectius: mezzo) e legale nella conseguenza (rectius: fine), diventando di rilievo penale a titolo di violenza privata o ad altro titolo criminoso coincidente al comportamento violento o minaccioso.
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L esercizio del diritto di unirsi carnalmente col proprio consorte, come conseguenza del matrimonio, non include il potere di obbligare con la violenza (fisica o morale) l unione al consorte contrario, ma, in ipotesi di contrarietà immotivata, rappresentante ingiuria reale e trasgressione dei doveri di sostegno matrimoniale (126) verso il consorte respinto, questi può convocare il giudice civile per conseguire una pronuncia di separazione personale per colpa dell altro consorte.
Ma non può mai farsi giustizia da solo pretendendo siffatto diritto, con azioni di minaccia e violenza.
L inadempienza da parte del consorte contrario del cosiddetto debito coniugale, non presenta di per sé la legittimità della coazione all adempienza dello stesso, quasi come azione di auto-esecuzione forzata in maniera determinata della richiesta proposta dal responsabile del diritto alla prestazione sessuale negata in maniera ingiusta, ma è soltanto elemento di responsabilità dell inadempienza per gli effetti di natura civile e penale che la legislazione prevede.